martedì 9 dicembre 2014

Le parole in barca

Giorni fa un iscritto del gruppo Velisti in facebook ha postato una domanda divertente: qual è la parola che usate di più in barca? Quasi trecento risposte.  Molto quotata la frase: "già che sei lì", seguita dagli ever green: Cazza!!!, di rigore i tre punti esclamativi per non confonderlo con Cazzo!; Poggia!!! (altri tre punti esclamativi), Acquaaa (qui si triplicano le aaa) seguita a ruota da "Passami il vino". Dalle risposte  del gruppo si intravede un popolo del mare gaudente, allegro, ironico, capace di prendersi in giro sui tic più frequenti della marineria. E questa è una gran bella cosa! Non se ne può più di gente seriosa, pomposa che quando parla di barche e di navigazione infarcisce il discorso di termini tecnici che sembrano messi lì apposta per marcare la distanza tra chi è esperto di cose marinare (almeno a parole) e chi non lo è. Il linguaggio può essere un barriera d'accesso, uno strumento di selezione (non sai cos'è un frenello?!!), uno strumento di esclusione o di inclusione. Bisognerebbe ricordarlo ogni volta che accogliamo una persona nuova in barca. C'era un istruttore che, di fronte a un gruppo di allievi zucconi, ha deciso di rinominare con i nomi dei personaggi dei cartoni animati le parti della barca. Cip e ciop, per dire dritta e sinistra e altre sciocchezze così. Gli allievi si sono messi a ridere, si sono rilassati, hanno capito e piano piano hanno imparato.
Usare in modo corretto i termini nautici è importante ma nessuno nasce "imparato". Tutti abbiamo avuto un maestro, qualcuno che ci ha introdotto nel mondo della vela e ci ha insegnato i primi rudimenti tecnici e le prime parole. Ma se è stato un buon maestro quello che ci ha trasferito non sono stati i tecnicismi ma la passione. A parte qualche ingegnere, non mi risulta che nessuno si sia mai appassionato al mare e alla vela partendo dalla spiegazione della dinamica dei fluidi, però conosco tante persone che si sono innamorate del mare perché trascinate dalla passione di un altro. Poi, una volta cominciato, ciascuno ha deciso quale livello di competenza raggiungere. Non è che tutti dobbiamo essere navigatori oceanici e fare il Vendee Globe. Né per questo dobbiamo sentirci sminuiti. Il bello dell'andar per mare e che ciascuno può scegliere il suo, personalissimo modo di navigare. Per questo il mare è una scelta di libertà. (continua...)

venerdì 5 dicembre 2014

Naufragi e responsabilità.

«È stato un errore umano, come skipper me ne assumo la responsabilità» così ha detto Chris Nicholson, skipper di Team Vestas Wind, dopo il naufragio durante la VOR.
Non ha detto: «Ho dato fiducia alle persone sbagliate», oppure «Non sapevo...» o ancora «Non conosci mai abbastanza il tuo equipaggio». No, ha detto semplicemente: «Me ne assumo la responsabilità.» Una frase  cristallina, senza ambiguità. Il comando comporta la responsabilità totale. E con la sua frase Nicholson l'ha ricordato a tutti (persino ai perditempo che si sono sbizzarriti a commentare la disavventura di Team Vestas dal caldo del loro divano). La responsabilità è senza se e senza ma. Un concetto che è chiarissimo per chiunque abbia avuto, anche solo per un giorno, il comando di una barca e delle persone a bordo. Il comando è un peso che si porta da soli e che non può essere assunto alla leggera proprio perché comporta il dovere di rispondere davanti a se stessi e agli altri delle proprie azioni, delle scelte. Com'è diversa la frase di Nicholson dalle fregnacce che da giorni (da anni) ascoltiamo dai responsabili della "barca Paese" su cui tutti navighiamo con la brutta sensazione di essere già naufragati anche se nessuno ce l'ha detto chiaramente.