«È stato un errore umano, come skipper me ne assumo la responsabilità» così ha detto Chris Nicholson, skipper di Team Vestas Wind, dopo il naufragio durante la VOR.
Non ha detto: «Ho dato fiducia alle persone sbagliate», oppure «Non sapevo...» o ancora «Non conosci mai abbastanza il tuo equipaggio». No, ha detto semplicemente: «Me ne assumo la responsabilità.» Una frase cristallina, senza ambiguità. Il comando comporta la responsabilità totale. E con la sua frase Nicholson l'ha ricordato a tutti (persino ai perditempo che si sono sbizzarriti a commentare la disavventura di Team Vestas dal caldo del loro divano). La responsabilità è senza se e senza ma. Un concetto che è chiarissimo per chiunque abbia avuto, anche solo per un giorno, il comando di una barca e delle persone a bordo. Il comando è un peso che si porta da soli e che non può essere assunto alla leggera proprio perché comporta il dovere di rispondere davanti a se stessi e agli altri delle proprie azioni, delle scelte. Com'è diversa la frase di Nicholson dalle fregnacce che da giorni (da anni) ascoltiamo dai responsabili della "barca Paese" su cui tutti navighiamo con la brutta sensazione di essere già naufragati anche se nessuno ce l'ha detto chiaramente.
La frase di Nicholson è aria fresca per le nostre menti rintronate da parole vuote, pronunciate come un rosario da uomini e donne che vogliono il comando ma non vogliono la responsabilità che ne deriva. «Non avevo idea ...» «I problemi c'erano già prima che arrivassi...». A sentirli parlare, tutti, nessuno escluso, vien voglia di ammunitarsi come farebbe un equipaggio di fronte a un comandante inetto, irresponsabile, falso e ladro. Ma ammutinarsi a terra è difficile. E quindi restiamo qui, inferociti e ammutoliti, a pagare le conseguenze morali di atti compiuti da comandanti irresponsabili. Conseguenze la cui portata è devastante. L'etica della responsabilità si estende nello spazio e nel tempo, siamo responsabili delle conseguenze immediate e future delle nostre azioni, di quello che accade a pochi metri dai noi o lontano per effetto delle nostre scelte. Per esempio, ai ragazzi che navigano sulle nostre barche nei programmi di recupero sociale come faremo a spiegare il valore della legalità, dell'etica della responsabilità quando dicono: «Sì, io sono stato fesso e mi sono fatto beccare. Ma quelli importanti che rubano se la cavano sempre»? Come spiegare loro che lo Stato e le sue leggi sono un valore quando tutto attorno a loro dice esattamente il contrario? Come spiegare che ogni scelta ha delle conseguenze e che bisogna essere pronti ad assumersene la responsabilità?
Non ha detto: «Ho dato fiducia alle persone sbagliate», oppure «Non sapevo...» o ancora «Non conosci mai abbastanza il tuo equipaggio». No, ha detto semplicemente: «Me ne assumo la responsabilità.» Una frase cristallina, senza ambiguità. Il comando comporta la responsabilità totale. E con la sua frase Nicholson l'ha ricordato a tutti (persino ai perditempo che si sono sbizzarriti a commentare la disavventura di Team Vestas dal caldo del loro divano). La responsabilità è senza se e senza ma. Un concetto che è chiarissimo per chiunque abbia avuto, anche solo per un giorno, il comando di una barca e delle persone a bordo. Il comando è un peso che si porta da soli e che non può essere assunto alla leggera proprio perché comporta il dovere di rispondere davanti a se stessi e agli altri delle proprie azioni, delle scelte. Com'è diversa la frase di Nicholson dalle fregnacce che da giorni (da anni) ascoltiamo dai responsabili della "barca Paese" su cui tutti navighiamo con la brutta sensazione di essere già naufragati anche se nessuno ce l'ha detto chiaramente.
La frase di Nicholson è aria fresca per le nostre menti rintronate da parole vuote, pronunciate come un rosario da uomini e donne che vogliono il comando ma non vogliono la responsabilità che ne deriva. «Non avevo idea ...» «I problemi c'erano già prima che arrivassi...». A sentirli parlare, tutti, nessuno escluso, vien voglia di ammunitarsi come farebbe un equipaggio di fronte a un comandante inetto, irresponsabile, falso e ladro. Ma ammutinarsi a terra è difficile. E quindi restiamo qui, inferociti e ammutoliti, a pagare le conseguenze morali di atti compiuti da comandanti irresponsabili. Conseguenze la cui portata è devastante. L'etica della responsabilità si estende nello spazio e nel tempo, siamo responsabili delle conseguenze immediate e future delle nostre azioni, di quello che accade a pochi metri dai noi o lontano per effetto delle nostre scelte. Per esempio, ai ragazzi che navigano sulle nostre barche nei programmi di recupero sociale come faremo a spiegare il valore della legalità, dell'etica della responsabilità quando dicono: «Sì, io sono stato fesso e mi sono fatto beccare. Ma quelli importanti che rubano se la cavano sempre»? Come spiegare loro che lo Stato e le sue leggi sono un valore quando tutto attorno a loro dice esattamente il contrario? Come spiegare che ogni scelta ha delle conseguenze e che bisogna essere pronti ad assumersene la responsabilità?
Potremo, anzi dovremo, raccontare a questi ragazzi di comandanti e marinai di barche e navi che di fronte al disastro, quale che ne fosse la causa, si sono caricati sulle spalle il peso delle cose. Faremo forse leggere il libro di Victor Slocum,
Naufraghi, per fargli capire che è proprio nei momenti in cui tutto sembra perduto che responsabilità, coraggio, solidarietà appaiono per quello che sono realmente: strumenti fondamentali per salvarsi la vita.
E se ci chiederanno di Schettino? Allora sarà difficile spiegare ma ci proveremo, consapevoli che le conseguenze di un'azione commessa da altri ricadono su tutti. E spiegheremo che un comandante che si definisce "secondo dopo Dio" è un buffone. Il comandante è solo primo tra gli uomini. E ne ha la responsabilità.
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