Qualche
giorno fa il presidente del Parco delle Cinqueterre, Vittorio
Alessandro, ha sommessamente suggerito di abbassare il volume. Non in
senso
metaforico, ma letteralmente. La storia è questa: da qualche anno in
estate a
Portovenere si tiene una bella iniziativa, «piscine in mare». Il canale
viene
chiuso al traffico nautico e le persone possono nuotare nello specchio
d’acqua
tra il borgo e l’isola della Palmaria. Una piscina naturale in cui si
potrebbe
nuotare, una volta tanto, immersi nell’assenza o quasi di rumori
artificiali. Una tale
prospettiva deve essere apparsa terrificante, tanto che quest’anno ci si
è
premurati di sparare musica a palla dalle rive.
Da qui l’invito di Alessandro ad abbassare il volume, invito che - nauticamente parlando - andrebbe esteso a tutti quelli che ancorati in rada tengono la musica come ad un rave party, a quelli che ormeggiati in porto parlano al telefono dal ponte della barca , a coloro che sentono il bisogno di farti sentire tutti, ma proprio tutti, i cavalli del loro motore passandoti a dieci metri dalla barca.
Da qui l’invito di Alessandro ad abbassare il volume, invito che - nauticamente parlando - andrebbe esteso a tutti quelli che ancorati in rada tengono la musica come ad un rave party, a quelli che ormeggiati in porto parlano al telefono dal ponte della barca , a coloro che sentono il bisogno di farti sentire tutti, ma proprio tutti, i cavalli del loro motore passandoti a dieci metri dalla barca.
Il
silenzio, come tutte le cose umane, ha avuto una sua evoluzione sociale e
storica. Lo spiega bene Sergio Cingolani nel libro Per una storia del silenzio.
Siamo condannati al rumore dal momento in cui abbiamo conquistato la posizione
eretta e cominciato a trasformare il mondo con la tecnica. Più avanziamo su
questa linea, più rumore facciamo.
Per
questo oggi il silenzio esteriore sarebbe un vero atto sovversivo. Sarebbe un
modo, forse l’unico, per marcare la distanza da un modello di sviluppo che,
comunque la si giri, mostra crepe da tutte le parti. Abbassare il volume del
rumore che ci circonda ci consentirebbe di ascoltare la natura devastata dalla
nostra avidità, di sentire gli altri e, persino, di prestare orecchio alla
nostra anima.
Ma
non ne siamo capaci. L’inquinamento acustico, fra tutti, è quello più pericoloso
perché è dentro di noi e ci piace. Facciamo baccano per tenere lontano le
paure, scacciare i mostri e farci sentire dagli altri. Crediamo che
alzare il volume sia la soluzione e non il problema.
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